François Mauss

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François Mauss

Se è vero che il vino viene spesso degustato da solo e messo a confronto con altri vini, è altrettanto vero che il suo ruolo più nobile è quello di animare un pasto tra amici, dove è in grado di accendere quello spirito di allegra amicizia essenziale per far fronte al logorio della vita del XXI secolo. Il vino può sublimare una cena, suscitare emozioni, richiamare ricordi e animare scambi unici.

Un pasto senza vino è come una vita senza amore.

Ecco quindi porsi un quesito fondamentale: come coniugare nel modo più efficace i diversi piatti con i diversi vini?

Siamo tutti consapevoli del fatto che, parlando di vino, si è costretti, più che non in altre occasioni, a utilizzare un parlare estremamente immaginifico e pieno di paragoni. Questo perché, quando si parla di gusto, la tavolozza delle parole è inadeguata a dipingere la vasta gamma di sensazioni individuali e perché in quest’ambito specifico ognuno di noi coltiva un gusto personale, classificando le impressioni ricevute in funzione del proprio palato, dei ricordi, delle conoscenze e delle circostanze.

Ecco perché, se si vuole parlare di “coniugare piatti e vini”, occorre affrontare l’argomento con grande umiltà.

Proviamo a illustrare alcune regole fondamentali, senza alcuna pretesa di imporre alcunché.

A tavola, il vino può svolgere due ruoli diversi: da un lato può essere scelto per perpetuare e quindi amplificare i sapori e le caratteristiche dei piatti (un vino ricco con un piatto ricco, un amarone con un dessert al cioccolato), oppure per fornire un elemento di contrasto con il piatto, creando armonie nuove, talora audaci (un vino liquoroso su un formaggio alle erbe; un vino bianco secco e leggermente acido su un dessert voluttuoso).

È possibile anche elencare alcuni “divieti”. Con gli asparagi, i carciofi e i piatti conditi con l’aceto, la sicurezza può imporre il consumo d’acqua: vi sono dei piatti le cui caratteristiche sono incompatibili con il vino, sia esso rosso o bianco, secco o liquoroso, fermo o effervescente.

Nel gustare i piatti di una cucina locale è inoltre buona norma dare la precedenza ai vini locali. In genere, la storia e la cultura hanno dato vita nel corso dei secoli ad alleanze naturali dove a turno sia il vino sia il piatto aggiungono quel “pizzico in più” alle impressioni del gusto. Su un piatto classico come la pasta e fagioli, un Chianti classico sarà il compagno ideale. Un risotto alla milanese sarà lietissimo di condividere i propri sapori con un buon barbera.

Infine, non bisogna dimenticare fino a che punto possa essere personale il gusto: le sensazioni colte da un palato potrebbero essere diametralmente opposte a quelle colte da un altro. Gli asiatici, ad esempio, abituati come sono a bere tè, apprezzano più facilmente i vini dal tannino molto elevato, mentre altri, ad esempio gli americani, abituati sin dall’infanzia alle bevande dolci, non li sopportano e privilegiano vini flessuosi e rotondi, delicatamente zuccherati e ricchi d’alcol.

Un principio che applichiamo il più spesso possibile, con il quale animiamo perfettamente la serata, consiste nell’offrire due o tre vini per piatto, serviti contemporaneamente. Si chiede all’avventore di gustare dapprima i vini da soli e di far caso alle impressioni che ne ricevono. Dopodiché di berli accompagnandoli al piatto, per constatare se tali impressioni cambiano e se per caso le gerarchie non vengono modificate. È affascinante. A questo proposito, l’esempio migliore lo offrono i riesling che presentano tassi diversi di zucchero residuo (tra i 5 e i 50 g). Potete star certi che, se degustati singolarmente, i vini con il tasso di zucchero residuo più elevato saranno i preferiti, ma se accompagnati a un piatto, saranno probabilmente i vini più secchi ad avere la meglio.

Philippe Bourguignon, sommelier professionista e attuale direttore del ristorante Laurent di Parigi, ha scritto un’opera fondamentale sull’argomento: “L’accordo perfetto”.

Bourguignon insiste sul fatto che, nella ristorazione, è difficile trovare il vino ideale, in grado di mettere tutti d’accordo e che piaccia a tutti gli avventori, i quali spesso ordinano piatti diversi. È in questi casi che un certo consenso diventa indispensabile, mentre a casa propria è più facile adattare le ricette ai vini che si è deciso di servire.

Non c’è niente di semplice.

E le circostanze svolgono spesso un ruolo importante. Una cena tra sciatori appena rientrati da una giornata trascorsa a divertirsi sulle piste immacolate sarà molto diversa da una cena imbandita per festeggiare la visita dello zio senatore o arcivescovo!

E per finire, non dimentichiamo che dietro a ogni bottiglia c’è un viticoltore, ci sono 365 giorni di lavoro, di incertezze, di delusioni, di gioie e di successi. L’uomo che sta dietro al vino non va mai dimenticato!

E come dice giustamente Philippe Bourguignon:

“La ricchezza non è racchiusa nelle bottiglie conservate in cantina, ma nei vini bevuti”.

Se manteniamo un atteggiamento modesto e comprensivo verso i gusti degli altri, il vino che avrà il massimo consenso sarà quello la cui bottiglia rimarrà vuota a fine pasto.

In conclusione, e sempre per citare il maître Philippe Bourguignon:

“L’abbinamento migliore sarà sempre quello basato su un’armonia tra ambiente, persone, umore e luogo. Ha più valore un abbinamento sbagliato, ma dibattuto e condiviso di un ottimo accostamento non sentito e non apprezzato.  Il vino è, in primo luogo, espressione di condivisione e partecipazione, con tutta la forza simbolica che ciò richiama nella nostra civiltà”.

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