Enzo Vizzari

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Enzo Vizzari

Sarà anche vero che il grande piatto, realizzato magistralmente con prodotti d’eccellenza, per essere compreso e apprezzato quanto merita non richiede altro accompagnamento che un bicchiere d’acqua (Gualtiero Marchesi dixit), ma a costo di sentirmi (ri)dare del goloso grossier ribadisco che la cucina senza vino  è come un matrimonio senza amore o, se mi è consentito, un amore senza sesso. Per le stesse ragioni, attengono poco o nulla al piacere le degustazioni tecniche a raffica, i tour de force estenuanti che ti cauterizzano lingua e palato con centinaia di assaggi cui i professionisti del vino non possono sottrarsi: indispensabili, aiutano a conoscere e a capire, vi partecipo ma le patisco. Non patisco ma anzi, instancabile, mi sottopongo al rito sempre nuovo e stimolante della ricerca del miglior accordo possibile tra ciò che mangio e il vino che vi si accompagna (molte riserve sulle altre bevande, più o meno tradizionali, ma non è qui il caso di attardarsi). Perché, e questa è l’unica certezza in un campo che per definizione esclude dogmi e verità depositate, ogni cibo si completa nell’incontro con il vino e quasi ogni vino si esalta sposandosi al cibo appropriato. Appropriato: che cosa vuol dire? Facile ricorrere alle lunghe e un po’ scontate liste di abbinamenti ideali, codificate in decine di libri e trattati, utili per chi ha fretta e non vuole incorrere in errori marchiani. Ma l’amante del vino la sua lista la costruisce, la affina, la modifica e magari la rivolta, con l’esperienza: se a mangiare si impara mangiando, a bere si impara bevendo. E, aggiungo, a sposare cibo e vino si impara sperimentando sul campo, non affidandosi alle teorie, ai grafici e alle tabelle, che semmai possono aiutare a sistematizzare le informazioni di base prima di metterle in discussione. Sconfinato il mondo dei sapori, degli odori, degli aromi, delle sensazioni tattili che tanto il cibo quanto il vino rappresentano, non c’è nulla di più soggettivo, aleatorio ed effimero dell’accordo perfetto. E più vini si assaggiano e si conoscono, più si praticano piatti e prodotti del mondo, tanto più ci si rende conto di quanto sia facile sbagliare e di come l’approccio più saggio sia quello laico, aperto, disincantato. Il che non vuol dire che di massima, molto di massima, alcune delle regole accademiche siano infondate (mai il rosso con uova o asparagi, il bianco con il pesce, i rossi più vecchi con i formaggi), ma è persino banale ricordare che non ha alcun senso parlare di pesce genericamente, se non si precisa quale pesce, cotto come, con quale salsa ecc. ecc. Ricordo un esempio che mi propose un giorno Alain Senderens, il più acuto e impegnato fra i grandi della cucina francese nello studiare il vino a tavola:  “Prendi un pesce, per esempio una sogliola, e dividila in due parti, falle cuocere rapidamente ma a fuoco basso in padella senza alcun condimento. Su una metà cospargi poi un filo d’olio d’oliva e qualche erba aromatica. La miglior armonia nascerà dall’abbinamento con un rettilineo bianco delle Côtes du Rhône (io gli controproposi un bianco del Collio). Condisci l’altra mezza sogliola con una salsa cremosa agli champignons: ecco che il naso ti guiderà verso un Puligny Montrachet, un generoso chardonnay…” Senza dimenticare che, comunque, come in ogni matrimonio, ci sono momenti in cui una delle due parti si mette in secondo piano per valorizzare il ruolo dell’altra, ovvero il vino contribuisce a esaltare le caratteristiche intrinseche del piatto, o il piatto apre la strada alla scoperta delle sfumature e della lunghezza in bocca del vino. Sta anche al piacere del gourmet decidere se in un determinato incontro è più importante l’uno o l’altro dei protagonisti. E ancora prima sta al cuoco interrogarsi, e darsi una risposta, su quali potranno essere i matrimoni d’amore, come diceva Gino Veronelli, con il piatto che andrà a realizzare. Eppure, diciamolo francamente, non tutti i cuochi si pongono il problema: o perché reputano che ciò che conta sia il piatto e il resto siano variabili accessorie, o perché non sono culturalmente attrezzati per inoltrarsi su questo terreno così complesso. Superfluo aggiungere, da parte mia, che il grande cuoco non è grande se non sa fare i conti anche con il vino o, addirittura, se non sa costruire il piatto con il vino in bocca, come diceva, ancora, Alain Senderens. Del quale, per chiudere, riassumo a uso dei cuochi più giovani e aperti alcune regolette auree che più volte gli ho sentito ripetere: gli accordi piatto-vino non sono mai definitivi; l’armonia non va cercata soltanto sul piano degli aromi, ma anche su quello delle sensazioni tattili, di volume, di consistenza e di densità in bocca; la maggior parte degli accordi sono di complementarietà, ovvero chi si assomiglia si mette insieme…ma ci sono anche quelli per contrasto; certi vini rivelano tutte le loro peculiarità solo a tavola, accompagnandosi al piatto che il cuoco avrà saputo costruire. Insomma, più cuochi amanti sinceri del vino, più piatti pensati con e per il vino, più vini buoni consumati da tutti, a casa come al ristorante.

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